Sud Africa, agosto 2017.
Ritrovo per caso la foto che ho scattato ad Alon un tardo pomeriggio di agosto, appena prima del tramonto. Alon è un ragazzo autistico di etnia Xhosa che abita a Nqileni, nella regione sudafricana del Kwazulu-Natal. Non ha famiglia, ma è il villaggio a occuparsi di lui. Entra ed esce dalle case, mangia dove trova, si allontana per giorni e poi torna. Ci sono notti in cui dorme sulla spiaggia oppure in cima alla collina, nell'erba. Può capitare che, spaventato, rifiuti la compagnia delle persone per molto tempo. Ma succede anche che si sieda attorno al fuoco e resti per ore ad ascoltare gli altri chiacchierare. C'è una cosa invece che non abbandona mai: la sua coperta. La avvolge come una sciarpa attorno al collo, se la cinge attorno alla vita, la stende sul pavimento e ci si siede sopra a sfogliare i fumetti, altra sua grande passione. Al Bulungula Lodge, un piccolo insieme di rondavel (le tipiche capanne rotonde) che ospita i pochi viaggiatori, Alon è uno di famiglia. Chi lo gestisce ha appeso fuori dalla cucina qualche utile indicazione su come gli ospiti dovrebbero provare a rapportarsi con lui: mi ricordo solo l'accortezza di non alzare la voce, ma ce n'erano sicuro molte altre. Siamo stati per tre giorni dentro a una natura surreale dai colori surreali (quel rosa, quel verde, quell'arancio) e dai suoni surreali (l'oceano che morde senza tregua, le urla di festa degli Xhosa, il raglio dei muli). Erano i giorni dell'ulwaluko, il rito d'iniziazione Xhosa. I giovani uomini circoncisi erano già tornati dal bush e quella sera la comunità li festeggiava con canti e sorsi di birra. Le donne ubriache parlavano a voce altissima, nell'aria ormai buia aleggiava un clima di tensione e di attesa. Tornavamo al nostro rondavel dopo esserci liberati dalla morsa di due giovani Xhosa un po' troppo affettuosi quando ho visto Alon fuggire via sul crinale della collina. Mi sono chiesto del suo diventare adulto, del suo futuro e della natura che lo avrebbe accolto in quella notte d'inverno australe.